Il soffritto che fa bene? Esiste, e la scienza ora lo conferma (e super digeribile)

Da temuto nemico delle diete a prezioso alleato del gusto e della salute: cosa dice davvero la nutrizione moderna sul soffritto

Cipolla, sedano e carota: tre ingredienti, un’unica base e centinaia di piatti della nostra tradizione che non esisterebbero senza. Eppure il soffritto, oggi, viene spesso visto come qualcosa da evitare. Fa male? Fa ingrassare? Rende pesanti i piatti? Sono domande che molti si pongono, soprattutto chi segue una dieta o cerca di mangiare sano. Ma la risposta è meno rigida di quanto si pensi. A spiegarlo è Arianna Rossoni, dietista e docente, che in questa intervista chiarisce cosa succede davvero quando soffriggiamo — e come farlo in modo consapevole, leggero e salutare.

Soffritto e dieta: come si prepara davvero e quando diventa un problema

Il soffritto non è una frittura. È una cottura lenta e a temperatura controllata, tra gli 80 e i 140 °C, nata per appassire lentamente le verdure in un fondo grasso (generalmente olio extravergine) e sprigionarne aromi e sapori. Si tratta di un passaggio tecnico fondamentale in decine di preparazioni italiane, dai ragù alle zuppe, dai risotti ai legumi.

Il problema, secondo Rossoni, non è tanto il soffritto in sé, ma il modo in cui viene fatto. Se l’olio viene surriscaldato oltre il suo punto di fumo, comincia a produrre sostanze tossiche e diventa indigesto. Se invece viene aggiunto con le giuste dosi e a fiamma dolce, può anche favorire la digestione e aumentare la biodisponibilità di alcuni nutrienti, come i carotenoidi e i polifenoli.

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Un soffritto ben fatto non va demonizzato: si inizia con le verdure tagliate finemente (brunoise), un pizzico di sale che aiuta a far uscire l’acqua, e poi si aggiunge l’olio. Il tutto va tenuto a fuoco basso, meglio se in una casseruola di ghisa o terracotta, che distribuisce il calore in modo uniforme.

Ma ci sono casi in cui il soffritto può creare fastidi: chi soffre di intestino irritabile, ad esempio, potrebbe avere problemi con l’aglio o la cipolla, che contengono zuccheri fermentescibili. In questi casi, si può optare per varianti più leggere, come il soffritto inverso (con l’olio aggiunto a fine cottura) o quello a base di brodo, senza grassi iniziali.

Perché il soffritto può anche far bene: gusto, digestione e nutrienti

Sfatato il mito che lo vuole “pesante e ingrassante”, il soffritto si riscopre alleato della salute. Se preparato con cura, usando olio extravergine d’oliva e temperatura controllata, può:

  • Migliorare la digeribilità delle verdure;

  • Stimolare la motilità intestinale, grazie all’effetto del calore e delle spezie;

  • Aumentare l’assimilazione di vitamine liposolubili come A e D, che altrimenti verrebbero disperse;

  • Rendere i piatti più appaganti, migliorando il senso di sazietà senza dover aggiungere sale o grassi in eccesso.

Il segreto sta nella qualità dell’olio, che va scelto extra vergine, spremuto a freddo e usato con moderazione. Bastano pochi cucchiai per una preparazione sana. E se vogliamo un’alternativa ancora più leggera, possiamo usare un filo d’olio a crudo a fine cottura: non è solo un condimento, ma un vero alimento funzionale.

Le tecniche moderne permettono anche di “soffriggere a freddo”, cioè unendo in pentola verdure, olio e un goccio d’acqua prima di accendere il fuoco: in questo modo si evita l’alta temperatura iniziale e si preservano sia gli aromi che i grassi buoni.

Il soffritto, insomma, non va escluso, ma ripensato. Non è solo una base, è un gesto culturale, una tecnica che porta con sé tradizione e sapere. Riscoprirlo con occhi nuovi significa non rinunciare al sapore, ma imparare a usarlo con consapevolezza.

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