White striping nel pollo: un’indagine mostra il 90% dei petti alterati nei supermercati italiani più noti.
Il fenomeno è noto e visibile anche a occhio nudo: strisce bianche lungo i muscoli del petto di pollo, segno di un’alterazione strutturale. Si chiama white striping e non è solo una questione estetica. Rappresenta una forma di miopatia degenerativa provocata da una crescita troppo rapida degli animali, tipica degli allevamenti intensivi. Già in passato il problema era emerso con alcuni lotti di pollo venduti da Lidl, ma oggi torna con un’indagine più ampia che coinvolge tre delle insegne più diffuse in Italia: Conad, Coop ed Esselunga.
A condurre la nuova inchiesta è stata l’organizzazione Essere Animali, che ha analizzato oltre 600 confezioni di petto di pollo acquistate in dieci città italiane. I risultati parlano da soli: oltre il 90% dei campioni presenta tracce evidenti della patologia. In particolare, Esselunga raggiunge il 96,4%, Conad il 92% e Coop il 90,6%, con una percentuale di casi gravi che in alcuni casi supera il 50%. L’inchiesta denuncia anche strategie di confezionamento poco trasparenti, come etichette troppo grandi o petti con superficie traslucida che rendono difficile la valutazione visiva da parte dei clienti.
Cosa succede ai muscoli del pollo e perché la carne si rovina
Il white striping colpisce soprattutto i polli a rapido accrescimento, razze selezionate per crescere in tempi brevissimi e aumentare la resa economica della filiera. Ma questa velocità si traduce in un eccessivo stress per i muscoli, che crescono più in fretta rispetto a quanto il sistema vascolare riesca a supportare. Il risultato? Una degenerazione del tessuto muscolare, che viene sostituito da tessuto fibroso e grasso, ben visibile come striature bianche sulla carne.
Questa trasformazione non è innocua. Gli studi mostrano che il contenuto di grasso può aumentare fino al 224%, mentre le proteine scendono fino al 9% in meno rispetto a un petto sano. In parallelo, il benessere degli animali peggiora drasticamente. Gli allevamenti intensivi ospitano decine di migliaia di esemplari in capannoni chiusi, con spazi limitati e macellazione dopo appena 30-40 giorni. Ed è proprio in questi ambienti che il white striping si sviluppa con maggiore frequenza.

Secondo Essere Animali, il fenomeno è il sintomo visibile di una filiera produttiva che punta alla quantità più che alla qualità, e che compromette anche la trasparenza verso i consumatori. Coop, Conad ed Esselunga, secondo l’organizzazione, non offrono abbastanza garanzie né sul benessere animale né sulla qualità del prodotto finale. Eppure, una soluzione esiste. Si chiama European Chicken Commitment (ECC) ed è già stato adottato da realtà come Eataly, Carrefour e Fileni. Questo impegno prevede l’adozione di razze a crescita lenta, standard minimi di benessere e una riduzione delle sofferenze animali, garantendo al tempo stesso carne più sana.
La replica delle aziende e il confronto aperto con gli attivisti
Dopo la pubblicazione del report, Coop ha diffuso una nota ufficiale per contestare i dati diffusi da Essere Animali. Secondo l’azienda, le proprie analisi del 2024, condotte su oltre 1.500 confezioni, indicano una presenza del white striping inferiore al 5%. Coop definisce la patologia come un “fenomeno visivo” che non altera la sicurezza del prodotto e afferma di applicare standard rigorosi nei contratti di fornitura, inclusi controlli a campione, tracciabilità e verifica della lavorazione.
Essere Animali ha risposto punto per punto, sostenendo che i dati Coop siano in contrasto con la letteratura scientifica, secondo cui l’incidenza della miopatia nei polli da rapido accrescimento è mediamente tra il 50 e il 90%. L’organizzazione accusa Coop di poca trasparenza e chiede di pubblicare il protocollo utilizzato per le analisi. Inoltre, critica l’imballaggio con etichette di grandi dimensioni, che renderebbe più difficile per il consumatore riconoscere il difetto. La percentuale dei casi gravi, nei petti visibili senza alterazioni superficiali, sarebbe addirittura del 55%, secondo l’indagine.
Sullo sfondo resta la questione principale: perché continuare a utilizzare razze che sviluppano patologie? Coop afferma di aver stabilito nei propri capitolati una “presenza minima accettabile” del white striping, ma non chiarisce perché non scegliere razze che eliminano alla radice il problema. Per gli attivisti, gestire i sintomi invece che le cause significa continuare a mettere in vendita carne di bassa qualità, e accettare un livello di sofferenza animale evitabile.
Le parti restano distanti. Essere Animali rinnova l’invito a Coop per un controllo congiunto e pubblico sui prodotti, mentre il dibattito si allarga anche ai clienti che, sempre più spesso, chiedono trasparenza su ciò che acquistano. Il prezzo di una carne più sostenibile? Appena 0,29 euro in più al chilo, secondo le stime. Un costo che, in proporzione, potrebbe cambiare la vita di milioni di animali allevati ogni anno in Italia.